sabato 9 marzo 2013

LE MASSAGGIATRICI di Lucio Fulci

Nel 1962, Lucio Fulci aveva già esordito nel primo tra i tanti generi da lui affrontati: il cinema comico a tutti gli effetti. Era un cinema basato soprattutto su gags brillanti recitate da protagonisti dalla forte personalità, e che usava la storia di fondo più come funzionale contenitore di situazioni grottesche e riusciti calembours, recitati dai vari Totò (I Ladri, il suo esordio assoluto), Celentano o il duo Franchi-Ingrassia, che per tenere attanagliati gli spettatori allo svolgersi dell’insieme. Pellicole e personaggi stralunati al punto giusto da potersi ritenere rappresentativi della commedia fulciana più dell’opera di cui ci occupiamo noi, apparentabile per raffinatezza solo ad un'altra sua opera brillante quasi coeva, Colpo Gobbo all’Italiana.
   Colpo Gobbo e Le Massaggiatrici sono commedie concepite in maniera opposta rispetto a pellicole come I Due della Legione Straniera o i musicarelli col ‘Molleggiato’; erano basate più su una costruzione di trama coinvolgente che sull’espressività degli attori, e anticipano in qualche modo l’attenzione alla robustezza narrativa che il regista riserverà in futuro ad altri generi quali il giallo e l’avventuroso e che aveva affrontato fino ad allora solo saltuariamente come sceneggiatore per pellicole altrui. Con questo non vogliamo assolutamente sostenere che gli interpreti di Le Massaggiatrici, tra cui nientemeno che Philippe Noiret al suo esordio italiano, non siano abbastanza carismatici, e ci mancherebbe altro… Ma solo che è una commedia cui l’ossatura va di pari passo con la qualità degli attori.
   Era un’epoca in cui per gli attori il talento era talento e non esistevano cast di serie A o serie B, categorizzazioni semmai riservate soltanto a giudizi di merito sulle pellicole, e quindi non appariva affatto strano vedere gomito a gomito Louis Seigner e Franco Franchi, Ernesto Calindri e Nino Terzo.      
   Il titolo secondario del film - impresso nei fotogrammi iniziali - è “Pochade in un tempo… moderno”, e la sottolineatura pleonastica costituita da quest’ultimo aggettivo, letta con lo spirito di oggi, è già un motivo di divertimento esattamente  come tutte le volte in cui constatiamo, in un film dei primi anni '60, che qualsiasi implicazione di argomenti sessuali era già di per sé un fattore indicante una compiaciuta, pruriginosa e decadente mondanità. Sempre con gli occhi di oggi, poi, trattandosi di un film diretto da Fulci, sappiamo già di doverci aspettare provocazioni e graffi satirici anche politici piuttosto marcati e ben al di sopra degli standard dell’epoca. Sarebbe stato interessante interpellare lo spettatore medio di mezza età all’uscita dal film sulle sue impressioni riguardo a una commedia che vede con palese simpatia umana certe ‘professioniste’ e che non lesina frecciate dirette e ben pronunciate su un certo modo di far politica dell’allora intoccabile ‘balena bianca’. Indubbiamente, sempre col senno del poi, leggiamo in questa pellicola un anticipo, ancorché più garbato ed elegante, delle tematiche che nel 1972 diedero vita al suo controverso All’Onorevole Piacciono le Donne, commedia surreale ma talmente palese nei suoi intenti da scatenare dibattiti e censure in un’epoca in cui si era, almeno teoricamente, più preparati alla beffa politica.
   Certo, tra gli autori del film del ’62 non figura il nome del regista (si trattava di Oreste Biancoli, Italo De Tuddo, Vittorio Metz e Antoinette Pellevant), ma chi sa qualcosa di Fulci è perfettamente al corrente del fatto che era impossibile che dalla sua mano non derivasse una personalizzazione determinante, al punto che ci sentiamo ragionevolmente certi che, con lui di mezzo, per arrivare a un risultato così ardito la coproduzione francese non fosse assolutamente necessaria. Il contributo francese lo percepiamo più che altro dalla prima parola del titolo secondario, poiché effettivamente dell’attualizzazione di una pochade si tratta, ossia di un intreccio di situazioni piccanti che affonda le sue radici nella commedia teatrale parigina del XIX secolo e di cui proprio Luois Seigner della Comédie française era il portavoce principale (e difatti la sua scritturazione non fu affatto casuale). Scelte dettate dalla coproduzione, dunque, ma che non erano estranee al mondo personale di Fulci, il quale era un grande conoscitore della cultura transalpina. La Francia, dal canto suo, ricambierà l’attenzione riservatale dal regista (celebri le sue citazioni artoidiane in L’Aldilà, benché da alcuni ritenute arbitrarie) dimostrandosi uno dei primi Paesi a riconoscere la sua dimensione autoriale.
   La derivazione stilisticamente teatrale del film, da parte italiana è dimostrata soprattutto dalla presenza di Ernesto Calindri, attore da palcoscenico per antonomasia, dal sorriso sornione e particolarmente ferrato per i temi scanzonati. Per quel che riguarda origini non teatrali, il film appare come una versione leggera e positiva del classico di Antonio Pietrangeli Adua e le Compagne di soli due anni prima e, in misura minore, dell’onda lunga del successo di altri film all-women di successo di pochi anni prima quali ad esempio Le Infedeli (M. Monicelli, ’53), Le Amiche (M. Antonioni, ’55) e il lieve Le Dritte (M. Amendola, ’58). Non dimentichiamo infatti che le vere protagoniste di questo lavoro sono le tre prostitute Marisa, Iris e Milena, interpretate da Sylva Koscina, Cristina Gaioni e Valeria Fabrizi; attrici su cui, nonostante siano loro le ‘massaggiatrici’ del titolo, non ci soffermiamo troppo perché - per quanto brave - risultano inevitabilmente adombrate dal prestigio degli interpreti maschili.
 
Sfortunatamente, Le Massaggiatrici non rappresenta oggi un culto cinematografico come il menzionato All’Onorevole Piacciono le Donne di dieci anni dopo, ma merita appieno una riscoperta. E siamo grati alla rinascita del nome di Fulci - un recupero partito in modo indiretto dagli USA grazie al suo status di ‘Godfather of Gore’ e allargatosi ad ampio raggio anche nei generi - se esistono edizioni in DVD delle sue opere non orrorifiche e dunque anche di questa commedia. È da annoverarsi tra quelle poche pellicole italiane (ricordiamo gli ultimi Germi ma anche i meno blasonati Il Diavolo di G. L. Polidoro e Il Moralista di G. Bianchi, entrambi con Alberto Sordi) che, tra un’anticipatoria stilettata e una risata, hanno aperto la strada a un filone di commedie con tematiche sessuali via via sempre più scevre di argomenti di costume ma che per decenni hanno dato fiato all’industria cinematografica nostrana.
 
L’ingegner Parodi/Ernesto Calindri: “Sai, giriamo sempre per ministeri e uffici… Oggi ho deciso di andare a vedere queste famose bellezze romane, quei monumenti di cui si parla tanto! Quelle cupole meravigliose… Cose straordinarie, bellezze che hanno cento, cinquecento, e anche duemila anni!!!
L’ingegner Manzini/Luigi Pavese, con aria serafica: “Ma scusa, non ti piacevano quelle di diciotto anni??
   Questo scambio, pronunciato a inizio film dai due industriali lombardi in trasferta a Roma per affari (di ogni tipo) non solo è la più memorabile del film, ma la dice lunga su come oggi siano cambiate le mentalità non sempre in senso evolutivo: in quale film odierno un azzimato sessantenne che si dichiara estimatore di donne appena maggiorenni - ‘massaggiatrici’ o no - verrebbe tratteggiato senza alcun un tono sprezzante e di ipocrita disgusto? Sia chiaro, il personaggio di Calindri non viene dipinto come un esempio, ma è più vicino al prototipo della simpatica canaglia che a quello del mostro di depravazione, stante il fatto che più si va indietro con gli annali del cinema e della letteratura e più si trova accondiscendenza all’idea che un uomo anziano possa avere preferenze per le giovanissime, benché talmente distante dai codici odierni del ‘buon gusto’ essere negata nella sua naturalità.
   Altra sequenza che non può non essere notata è quella che abbiamo al 51mo minuto, quando il viscido funzionario di partito Bellini (Noiret), vedendo al ristorante la signora Parodi (Laura Adani) ma non conoscendola, la investe di male parole per via della sua mise a suo dire non proprio castigata: ‘Oooh… Ma guardi laggiù che sconcio!’, commenta a distanza alla sua commensale ‘Tutta quella carne in mostra! […] quella signora.. Se si può chiamare ‘signora’! Guardi com’è impudica! Così ignuda!! Vado a dirle il fatto suo’; poi, avvicinandosi alle spalle della signora Parodi: ‘Signora si copra! Si copra, la prego!’. Ora, che cosa, o meglio chi, può ricordare questo episodio, se non quello che a suo tempo vide protagonista il realmente esistito Oscar Luigi Scalfaro, in un sussulto di moralismo coltogli proprio in un ristorante romano? Ogni riferimento NON è da ritenersi puramente casuale.
 
La vicenda si snoda in modo divertente ma poco originale fino a metà film per poi prendere il volo nel momento in cui Cipriano Paoloni (Seigner), presidente del ‘Villaggio della Giovane’ (un ente di recupero per meretrici), per un motivo di mera superstizione, firma il capitolato d’appalto con una data posticipata dopo il giorno venerdì 17. Da quel momento in poi gli equivoci e gli snodi diventano sempre più innovativi e imprevedibili fino a far prendere al film una vera impennata,  servendosi anche del supporto del dirompente arrivo in scena della coppia Franchi-Ingrassia alla loro prima collaborazione con Fulci. Coppia che anticipa il loro tipico stile slapstick che il regista incoraggerà in futuro. Per quanto sia in un contesto un po’ fuori luogo, in fondo è proprio questo aspetto di improvvisa diversità a spiazzare lo spettatore, differenziando di colpo il tutto dell’eleganza tout-court che apparteneva alla commedia fulciana che per vari aspetti abbiamo apparentato a questa pellicola, ossia Colpo Gobbo all’Italiana. Questo vistoso cambiamento di stile, semmai, apparenta il film più a un’altra commedia, stavolta scritta da Fulci ma diretta da Steno: quel Piccola Posta del ’55 che, da quasi-romantica, prendeva a metà strada una piega decisamente sopra le righe con l’irruzione in scena del personaggio di Alberto Sordi.
   In Le Massaggiatrici, le forzature espressive di Franchi erano abilmente compensate da una delle situazioni più indovinate della trama, quella in cui il portinaio interpretato dall’attore si convince di essere stato lui a uccidere Paoloni, in realtà morto d’infarto. Da qui in poi assistiamo a una scoppiettante rivisitazione delle situazioni di continue apparizioni/scomparse di cadavere di hitchcockiana memoria (la dark-comedy La Congiura degli Innocenti, ’55).
   Tornando al tema dell’inaspettato, troviamo che la seconda parte del film funzioni meglio anche per via dell’effetto detonante - in un contesto di personaggi razionalissimi e attentamente calcolatori - di un aspetto sciocco quanto potente come quello della scelta superstiziosa di ‘sua eccellenza’ di posticipare la data.
 
Giovanni Modica (recensione fatta nel settembre del 2012)

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