Nel 1962, Lucio Fulci aveva già
esordito nel primo tra i tanti generi da lui affrontati: il cinema comico a
tutti gli effetti. Era un cinema basato soprattutto su gags brillanti recitate
da protagonisti dalla forte personalità, e che usava la storia di fondo più
come funzionale contenitore di situazioni grottesche e riusciti calembours, recitati dai vari Totò (I Ladri, il suo esordio assoluto),
Celentano o il duo Franchi-Ingrassia, che per tenere attanagliati gli
spettatori allo svolgersi dell’insieme. Pellicole e personaggi stralunati al
punto giusto da potersi ritenere rappresentativi della commedia fulciana più
dell’opera di cui ci occupiamo noi, apparentabile per raffinatezza solo ad
un'altra sua opera brillante quasi coeva, Colpo
Gobbo all’Italiana.
Colpo Gobbo e Le Massaggiatrici sono commedie concepite
in maniera opposta rispetto a pellicole come I Due della Legione Straniera o i musicarelli col ‘Molleggiato’;
erano basate più su una costruzione di trama coinvolgente che sull’espressività
degli attori, e anticipano in qualche modo l’attenzione alla robustezza
narrativa che il regista riserverà in futuro ad altri generi quali il giallo e
l’avventuroso e che aveva affrontato fino ad allora solo saltuariamente come
sceneggiatore per pellicole altrui. Con questo non vogliamo assolutamente
sostenere che gli interpreti di Le
Massaggiatrici, tra cui nientemeno che Philippe Noiret al suo esordio
italiano, non siano abbastanza carismatici, e ci mancherebbe altro… Ma solo che
è una commedia cui l’ossatura va di pari passo con la qualità degli attori.
Era un’epoca in cui per gli attori il talento era talento e non
esistevano cast di serie A o serie B, categorizzazioni semmai riservate
soltanto a giudizi di merito sulle pellicole, e quindi non appariva affatto
strano vedere gomito a gomito Louis Seigner e Franco Franchi, Ernesto Calindri
e Nino Terzo.
Il titolo secondario del film - impresso nei fotogrammi iniziali - è “Pochade
in un tempo… moderno”, e la sottolineatura pleonastica costituita da
quest’ultimo aggettivo, letta con lo spirito di oggi, è già un motivo di
divertimento esattamente come tutte le
volte in cui constatiamo, in un film dei primi anni '60, che qualsiasi
implicazione di argomenti sessuali era già di per sé un fattore indicante una
compiaciuta, pruriginosa e decadente mondanità. Sempre con gli occhi di oggi,
poi, trattandosi di un film diretto da Fulci, sappiamo già di doverci aspettare
provocazioni e graffi satirici anche politici piuttosto marcati e ben al di sopra
degli standard dell’epoca. Sarebbe stato interessante interpellare lo
spettatore medio di mezza età all’uscita dal film sulle sue impressioni
riguardo a una commedia che vede con palese simpatia umana certe
‘professioniste’ e che non lesina frecciate dirette e ben pronunciate su un
certo modo di far politica dell’allora intoccabile ‘balena bianca’.
Indubbiamente, sempre col senno del poi, leggiamo in questa pellicola un
anticipo, ancorché più garbato ed elegante, delle tematiche che nel 1972
diedero vita al suo controverso All’Onorevole
Piacciono le Donne, commedia surreale ma talmente palese nei suoi intenti
da scatenare dibattiti e censure in un’epoca in cui si era, almeno
teoricamente, più preparati alla beffa politica.
Certo, tra gli autori del film del ’62 non figura il nome del regista
(si trattava di Oreste Biancoli, Italo De Tuddo, Vittorio Metz e Antoinette
Pellevant), ma chi sa qualcosa di Fulci è perfettamente al corrente del fatto
che era impossibile che dalla sua mano non derivasse una personalizzazione
determinante, al punto che ci sentiamo ragionevolmente certi che, con lui di
mezzo, per arrivare a un risultato così ardito la coproduzione francese non fosse
assolutamente necessaria. Il contributo francese lo percepiamo più che altro
dalla prima parola del titolo secondario, poiché effettivamente
dell’attualizzazione di una pochade si tratta, ossia di un intreccio di
situazioni piccanti che affonda le sue radici nella commedia teatrale parigina
del XIX secolo e di cui proprio Luois Seigner della Comédie française era il portavoce principale (e difatti la sua
scritturazione non fu affatto casuale). Scelte dettate dalla coproduzione,
dunque, ma che non erano estranee al mondo personale di Fulci, il quale era un grande
conoscitore della cultura transalpina. La Francia, dal canto suo, ricambierà l’attenzione
riservatale dal regista (celebri le sue citazioni artoidiane in L’Aldilà, benché da alcuni ritenute
arbitrarie) dimostrandosi uno dei primi Paesi a riconoscere la sua dimensione
autoriale.
La
derivazione stilisticamente teatrale del film, da parte italiana è dimostrata
soprattutto dalla presenza di Ernesto Calindri, attore da palcoscenico per
antonomasia, dal sorriso sornione e particolarmente ferrato per i temi scanzonati.
Per quel che riguarda origini non teatrali, il film appare come una versione
leggera e positiva del classico di Antonio Pietrangeli Adua e le Compagne di soli due anni prima e, in misura minore,
dell’onda lunga del successo di altri film all-women di successo di pochi anni
prima quali ad esempio Le Infedeli
(M. Monicelli, ’53), Le Amiche (M.
Antonioni, ’55) e il lieve Le Dritte
(M. Amendola, ’58). Non dimentichiamo infatti che le vere protagoniste di
questo lavoro sono le tre prostitute Marisa, Iris e Milena, interpretate da
Sylva Koscina, Cristina Gaioni e Valeria Fabrizi; attrici su cui, nonostante
siano loro le ‘massaggiatrici’ del titolo, non ci soffermiamo troppo perché - per
quanto brave - risultano inevitabilmente adombrate dal prestigio degli
interpreti maschili.
Sfortunatamente, Le
Massaggiatrici non rappresenta oggi un culto cinematografico come il
menzionato All’Onorevole Piacciono le
Donne di dieci anni dopo, ma merita appieno una riscoperta. E siamo grati
alla rinascita del nome di Fulci - un recupero partito in modo indiretto dagli
USA grazie al suo status di ‘Godfather of Gore’ e allargatosi ad ampio raggio
anche nei generi - se esistono edizioni in DVD delle sue opere non orrorifiche
e dunque anche di questa commedia. È da annoverarsi tra quelle poche pellicole
italiane (ricordiamo gli ultimi Germi ma anche i meno blasonati Il Diavolo di G. L. Polidoro e Il Moralista di G. Bianchi, entrambi
con Alberto Sordi) che, tra un’anticipatoria stilettata e una risata, hanno
aperto la strada a un filone di commedie con tematiche sessuali via via sempre
più scevre di argomenti di costume ma che per decenni hanno dato fiato
all’industria cinematografica nostrana.
L’ingegner Parodi/Ernesto
Calindri: “Sai, giriamo sempre per
ministeri e uffici… Oggi ho deciso di andare a vedere queste famose bellezze
romane, quei monumenti di cui si parla tanto! Quelle cupole meravigliose… Cose
straordinarie, bellezze che hanno cento, cinquecento, e anche duemila anni!!!”
L’ingegner Manzini/Luigi Pavese,
con aria serafica: “Ma scusa, non ti
piacevano quelle di diciotto anni??”
Questo scambio, pronunciato a inizio film dai due industriali lombardi in
trasferta a Roma per affari (di ogni tipo) non solo è la più memorabile del
film, ma la dice lunga su come oggi siano cambiate le mentalità non sempre in
senso evolutivo: in quale film odierno un azzimato sessantenne che si dichiara
estimatore di donne appena maggiorenni - ‘massaggiatrici’ o no - verrebbe
tratteggiato senza alcun un tono sprezzante e di ipocrita disgusto? Sia chiaro,
il personaggio di Calindri non viene dipinto come un esempio, ma è più vicino
al prototipo della simpatica canaglia che a quello del mostro di depravazione,
stante il fatto che più si va indietro con gli annali del cinema e della
letteratura e più si trova accondiscendenza all’idea che un uomo anziano possa
avere preferenze per le giovanissime, benché talmente distante dai codici
odierni del ‘buon gusto’ essere negata nella sua naturalità.
Altra sequenza che non può non essere notata è quella che abbiamo al
51mo minuto, quando il viscido funzionario di partito Bellini (Noiret), vedendo
al ristorante la signora Parodi (Laura Adani) ma non conoscendola, la investe
di male parole per via della sua mise
a suo dire non proprio castigata: ‘Oooh…
Ma guardi laggiù che sconcio!’, commenta a distanza alla sua commensale ‘Tutta quella carne in mostra! […] quella signora.. Se si può chiamare
‘signora’! Guardi com’è impudica! Così ignuda!! Vado a dirle il fatto suo’;
poi, avvicinandosi alle spalle della signora Parodi: ‘Signora si copra! Si copra, la prego!’. Ora, che cosa, o meglio
chi, può ricordare questo episodio, se non quello che a suo tempo vide
protagonista il realmente esistito Oscar Luigi Scalfaro, in un sussulto di
moralismo coltogli proprio in un ristorante romano? Ogni riferimento NON è da
ritenersi puramente casuale.
La vicenda si snoda in modo
divertente ma poco originale fino a metà film per poi prendere il volo nel
momento in cui Cipriano Paoloni (Seigner), presidente del ‘Villaggio della
Giovane’ (un ente di recupero per meretrici), per un motivo di mera
superstizione, firma il capitolato d’appalto con una data posticipata dopo il
giorno venerdì 17. Da quel momento in poi gli equivoci e gli snodi diventano sempre
più innovativi e imprevedibili fino a far prendere al film una vera impennata, servendosi anche del supporto del dirompente arrivo
in scena della coppia Franchi-Ingrassia alla loro prima collaborazione con
Fulci. Coppia che anticipa il loro tipico stile slapstick che il regista incoraggerà in futuro. Per quanto sia in
un contesto un po’ fuori luogo, in fondo è proprio questo aspetto di improvvisa
diversità a spiazzare lo spettatore, differenziando di colpo il tutto dell’eleganza
tout-court che apparteneva alla
commedia fulciana che per vari aspetti abbiamo apparentato a questa pellicola,
ossia Colpo Gobbo all’Italiana. Questo
vistoso cambiamento di stile, semmai, apparenta il film più a un’altra
commedia, stavolta scritta da Fulci ma diretta da Steno: quel Piccola Posta del ’55 che, da
quasi-romantica, prendeva a metà strada una piega decisamente sopra le righe
con l’irruzione in scena del personaggio di Alberto Sordi.
In Le Massaggiatrici, le
forzature espressive di Franchi erano abilmente compensate da una delle
situazioni più indovinate della trama, quella in cui il portinaio interpretato
dall’attore si convince di essere stato lui a uccidere Paoloni, in realtà morto
d’infarto. Da qui in poi assistiamo a una scoppiettante rivisitazione delle
situazioni di continue apparizioni/scomparse di cadavere di hitchcockiana
memoria (la dark-comedy La Congiura
degli Innocenti, ’55).
Tornando al tema dell’inaspettato, troviamo che la seconda parte del
film funzioni meglio anche per via dell’effetto detonante - in un contesto di
personaggi razionalissimi e attentamente calcolatori - di un aspetto sciocco
quanto potente come quello della scelta superstiziosa di ‘sua eccellenza’ di
posticipare la data.
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